Ciao a tutti e benvenuti all’appuntamento settimanale con la nostra mitica ( ?) newsletter. E’ già da qualche settimana che ci occupiamo di ambiti non strettamente legati al mondo della salute mentale (sport e musica), ma che, come in fondo può capitare in tutti i contesti caratterizzati dalla presenza di esseri umani, possono in qualche maniera incontrarlo. Ad esempio, proprio a proposito dello sport, abbiamo visto come l’alto livello performativo richiesto a chi lo pratica professionalmente, può fare insorgere interrogativi importanti, tipo ” le medicine diminuiranno le mie forze e la mia concentrazione? Sarò in grado di essere competitivo come al solito? Verrò in qualche modo stigmatizzato dai componenti della mia squadra?”.
Nella newsletter della settimana scorsa, invece, ci siamo occupati in particolare del mondo della musica, raccontando della vita e dell’attività artistica di Ghemon, un rapper che ha parlato pubblicamente del suo disagio psichico e dei modi con cui l’ha affrontato. Sport e musica, lo ripetiamo anche questa settimana, saranno in qualche maniera presenti duranti il prossimo Màt (Settimana della Salute Mentale di Modena). Ormai non manca molto, noi di Radio Liberamente siamo già entrati nel loop (come si suol dire), e fino al fatidico 20 Ottobre vi tartasseremo con messaggi di promozione dell’evento assolutamente non subliminali (anzi, decisamente molto espliciti!)
Ma torniamo a noi. Il Màt, come raccontato pure la scorsa settimana, sarà anche spettacoli, cinema, teatro, forse proprio perchè, in fondo, l’espressione artistica, in tutte le sue forme, mette in gioco da sempre profondi stati emotivi, impegna psicologicamente chi ne è in qualche modo protagonista (attori, musicisti e via dicendo), ma anche chi ne è semplicemente spettatore (in pratica, noi tutti). E, a volte, le opere artistiche stesse vengono pensate per raccontare profondi stati d’animo, disagi psichici importanti, se non vere e proprie patologie. Da questo punto di vista, è entusiasmante osservare come anche i prodotti più sperimentali affrontino questo genere di problematiche, spingendoci ad una conoscenza innovativa di tali tematiche. Lo si osserva nell’arte contemporanea, ad esempio, ma anche, in modo straordinario, nel cinema, nei cortometraggi, e nelle seguitissime fiction televisive.
A questo proposito, ci piaceva condividere con voi una riflessione su quello che si prevede sarà un serial straordinario (o almeno originale) e, a suo modo, ” trasgressivo”. Si, molti tra voi avranno già compreso che stiamo parlando di Maniac, un’imperdibile serie televisiva che è iniziata lo scorso 21 Settembre sulla piattaforma Netflix. Per l’esattezza, si tratta di una miniserie statunitense, realizzata da poco, creata e diretta da Cary Fukunaga, scritta da quest’ultimo assieme a Patrick Somerville. E’ il rifacimento americano dell’omonimo telefilm norvegese del 2014, e vede come protagonisti Emma Stone e Jonah Hill. In questa produzione televisiva si parla di salute mentale, indubbiamente, ma possiamo affermare che essa costituisce il perno sul quale si innestano mille altre dimensioni della realtà (o, e qui sta il suo carattere avvincente, della non-realtà). La trama stessa, per nulla scontata o in qualche misura noiosa, sembra preludere a viaggi psichedelici nella psiche umana, quasi a suggerire, in fondo, un inquietante senso di spaesamento e di mancanza di certezze. Per quanto l’assurdo e il fantastico sembrino caratterizzare le vicende raccontate, il disorientamento pare inevitabilmente riflettere non solo la complessità invincibile della nostra psiche (o forse, meglio, della nostra anima), ma anche l’ apparente inesorabile caduta di riferimenti tipica dell’età contemporanea.
Ma cerchiamo di capire meglio il significato e i messaggi del serial attraverso il racconto in breve della storia narrata (o almeno delle sue parti iniziali). Le vicende si svolgono a New York (città che si presenta, in questo caso, già ambivalente, per certi aspetti futuristica e per altri decisamente retrò) e vedono protagonisti due persone drammaticamente colpite dalla malattia mentale, seppur con patologie differenti: una, Annie Lansberg, soffre del disturbo borderline ed è rimasta profondamente traumatizzata dalla morte della sorella, l’altro, Owen Milgrim, è schizofrenico, con un sofferto passato di allucinazioni ed episodi psicotici e, oltretutto, vittima delle prevaricazioni della sua potente famiglia. I due personaggi, per circostanze in realtà diverse e che non c’entrano con la cura terapeutica, si ritroveranno in uno strano e quanto mai ambiguo laboratorio, ove intraprenderanno una futuristica cura farmacologica sperimentale, incentrata sull’utilizzo di tre pastiglie “miracolose”, destinate, almeno negli intenti, a risolvere qualunque tipologia di disturbo mentale e a permettere loro di affrontare i traumi del passato, nella prospettiva di un’esistenza migliore. I farmaci vengono usati come catalizzatori grazie all’utilizzo di una sorta di intelligenza artificiale, che rende ancora più avveniristico il tutto. E i medici, chiederete voi? In realtà essi sono ancora più inquietanti delle sperimentali terapie che mettono in atto, assolutamente nevrotici e, in un certo senso, parodistici, spesso e volentieri in conflitto.
Date le premesse, il percorso che i nostri due protagonisti affronteranno sarà altrettanto fantasmagorico e sorprendente, il confine tra reale ed immaginario si farà liquido e perturbante, sarà possibile approdare per loro in dimensioni allucinatorie create dalla stessa mente, ove niente sarà come sembra e l’inconscio avvilupperà la loro psiche. La serie, apparentemente stramba e fuori dalla nostra realtà più concreta, tocca invece tanti temi importanti. Attraverso un racconto formalmente artificioso ed improbabile, propone riflessioni di un certo peso su tematiche attuali ma valide anche in assoluto e universalmente. Accanto al fulcro centrale della malattia mentale, sul quale si impongono inevitabilmente quesiti importanti, emergono con forza anche altre tematiche di indubbio interesse. La solitudine, ad esempio, con riferimenti in particolare alle pretese performative di un mondo sociale che tende a categorizzare ed eventualmente ad escludere, ma anche la prepotente sensazione di falsità che permea alcune dinamiche del nostro mondo esteriore, la necessità di esplorare, probabilmente per reazione, dimensioni interiori sconosciute, nonchè il profondo legame che si instaura nei rapporti amicali. Oltre alle relazioni sociali, si perlustrano quelle più specificamente familiari, con i loro condizionamenti e pressioni, le sofferenze del lutto, l’importanza del ricordo e delle proiezioni del nostro subconscio.
Insomma, ci viene da dire, dimenticatevi le vecchie telenovelas di Grecia Colmenares e gli sceneggiati strappalacrime che andavano di moda soprattutto qualche tempo fa. Qui il gioco si fa duro, e contempla profondità impensate e straordinarie. La surrealtà esteriore anela a meditazioni toccanti e il disagio psichico diventa un produttivo spunto per allargare la nostra attenzione su tutto ciò che, in modo fittizio o al contrario profondo, ci circonda. Una curiosità, poi, per i cinefili più appassionati: in Maniac vi sono rimandi espliciti a grandi film e serial del passato (Il Signore degli Anelli, Matrix, Inception), e il suo stesso genere è abbastanza indefinito, comprendendo una commistione di thriller, fantasy, spy story, fantascienza, parodia, crime e commedia romantica. Insomma, una molteplicità di emozioni che rappresenta la vita stessa, e anche l’andamento altalenante che a volte assume il disagio psichico. La stessa Emma Stone, protagonista di Maniac, ha rivelato pubblicamente di soffrire di ansia e attacchi di panico, e chissà che questo non abbia avuto un ruolo importante nella scelta di interpretare la serie e anche, perchè no, nella bravura con cui si è calata nel personaggio. Ci sentiamo di ringraziarla perchè, raccontando del suo disagio, ha contribuito, come sempre più altri personaggi “pubblici”, a combattere lo stigma di cui a volte sono vittime le persone con un qualche problema di ordine psicologico.